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LA COMUNICAZIONE FACILITATA (C.F.)

del: 25/11/2002

Dott.ssa Francesca Caprino

Introduzione

Abbiamo voluto dedicare l’articolo di questo mese ad un argomento che in Italia è spesso oggetto di discussioni tra gli addetti ai lavori: la Comunicazione Facilitata.

Leonardo fino ad oggi si è occupato prevalentemente di Comunicazione Aumentativa/Alternativa (C.A.A.: per una definizione ed una descrizione sommaria di questa pratica clinica è possibile leggere l’articolo in archivio /archivio1.htm); per questo motivo ci è sembrato opportuno, anche in occasione della nascita del Chapter Italy di ISAAC, introdurre anche la Comunicazione Facilitata per cercare di delineare le principali differenze rispetto alla C.A.A. (anche in occasione della conferenza biennale ISAAC 2002, tenuta in Danimarca, quest’argomento è stato affrontato).

L’articolo che segue è stato scritto dalla Dott.ssa Francesca Caprino, una nostra collaboratrice che si è occupata di Comunicazione Facilitata.

LA COMUNICAZIONE FACILITATA (C.F.)

La comunicazione facilitata è una tecnica che consente a persone affette da gravi patologie che rendano impossibile, difficoltosa o inattendibile la comunicazione verbale o quella scritta di tipo tradizionale, di poter comunicare efficacemente attraverso l’uso di tastiere o di supporti recanti simboli, immagini o lettere dell’alfabeto.

In questa accezione la C.F. può essere definita come una forma di Comunicazione Aumentativa/Alternativa. Come la C.A.A., la C.F. consente di colmare il gap tra capacità cognitive e capacità espressive modificando tanto la natura dell’input che deve essere decodificato dal sistema sensoriale del disabile, quanto quello dell’output fornito dallo stesso.

La differenza sostanziale tra queste due tecniche consiste nel fatto che la C.F., diversamente da quanto avviene nella C.A.A., si rivolge a soggetti che per vari motivi non sono in grado di eseguire movimenti volontari e finalizzati anche molto semplici. E’ il caso ad esempio dei bambini e degli adulti cerebrolesi. La C.F. viene spesso applicata anche nei casi di autismo.

Da un punto di vista strettamente descrittivo la C.F. consiste nel sostenere una parte del corpo del paziente (mano, polso, gomito, braccio) per consentirgli di digitare, attraverso l’indicazione, delle caselle o dei tasti. La persona che affronta un training di C.F. viene addestrata progressivamente a singolarizzare un dito della mano, qualora questo movimento non fosse ancora padroneggiato correttamente; il terapista facilitatore inoltre sostiene fisicamente l’arto della persona e ne scandisce il movimento senza però mai guidarlo.

Questa strategia si pone come obiettivo l’autonomia comunicativa della persona attraverso una eliminazione graduale del supporto fornito. Va tuttavia specificato che presumibilmente un certo numero di soggetti può continuare per lunghi periodi ad avere bisogno della presenza di una seconda persona che gli fornisca un sostegno fisico anche lieve (ad esempio una semplice pressione sul braccio o sulla gamba) o che semplicemente sia presente fisicamente. La necessità di un facilitatore che presenzi l’atto comunicativo del disabile sembra rendersi necessaria in particolar modo nell’autismo, poiché, come dimostrano recenti studi neurofisiologici, questa sindrome comporta una difficoltà nel programmare, iniziare, monitorare e condurre a buon fine un comportamento motorio come ad esempio scrivere una parola.

La tecnica della comunicazione facilitata è nata in Australia all’inizio degli anni ’70. La sua ideatrice è Rosemary Crossley, che in quel periodo lavorava come terapista in un istituto per handicappati gravi, il Saint Nicholas Hospital. E’ con i giovani degenti di questo ospedale, prevalentemente cerebrolesi per cui non era previsto nessun programma riabilitativo specifico, che la Crossley inizia a sperimentare questa tecnica; in particolare con coloro che, per la loro impossibilità a comunicare, venivano spesso considerati dei gravi ritardati mentali. I risultati sono incoraggianti e mettono in evidenza la presenza di capacità cognitive del tutto ignorate fino a quel momento.

Nonostante il suo allontanamento dal Saint Nicolas, avvenuto pochi anni più tardi, la Crossley procede nella sua messa a punto del metodo che chiamerà Comunicazione Facilitata.

Intorno alla fine degli anni ’70 cominciano ad arrivare i primi riconoscimenti ufficiali: alcuni ragazzi seguiti della Crossley vengono ammessi a frequentare corsi di istruzione regolare, inoltre in alcuni casi delle corti accettano deposizioni rilasciate grazie alla C.F. . E’ il caso di Lucy, la prima paziente seguita dalla Crossley, che otterrà dal tribunale l’autorizzazione a lasciare il Saint Nicholas Hospital dove era ricoverata fin dalla prima infanzia.

Nel 1986 viene fondato a Melbourne il DEAL (Dignity Communication And Language) Communication Center al quale affluiscono pazienti, per lo più in età evolutiva, affetti da diverse patologie. Presso il Deal viene effettuata da una equipe polispecialistica una presa in carico globale dei pazienti con gravi deficit comunicativi per i quali vengono messi a punto progetti altamente individualizzati.

Cresce contemporaneamente a livello internazionale l’interesse di famiglie e specialisti sulla C.F..

La diffusione di questa tecnica negli Stati Uniti avviene ad opera di Biklen, professore di educazione speciale presso la Syracuse University. E’ proprio negli U.S.A. che la comunicazione facilitata comincia ad essere utilizzata non solo nei casi di handicap fisici, ma anche con disabili con problemi cognitivi.

A partire dagli anni ’80 si moltiplicano le pubblicazioni ed i convegni ma anche le polemiche e le diffidenze intorno alla C.F. . Parte della comunità medica contesta la reale efficacia di questa tecnica e ne mette in dubbio la validità scientifica.

Ad inasprire le polemiche, soprattutto negli Stati Uniti, è il crescente numero di casi di abusi sessuali segnalati da persone che comunicano con l’aiuto di un facilitatore.

Gli specialisti della C.F. dal canto loro puntano l’indice sull’inappropriatezza dei piani sperimentali studiati per validare questa tecnica e, parallelamente, sostenuti da un crescente numero di pazienti, familiari e terapisti, proseguono nel loro lavoro di ricerca e di diffusione.

La C.F. approda così in Europa grazie alla terapista francese Vexiau che fonda il centro Epicea.

Poco dopo sarà la genovese Patrizia Cadei, madre di un ragazzo a cui è stata diagnosticata la sindrome autistica e allieva del professor Biklen, a condurre le prime sperimentazioni nel nostro paese. La seguirà poco dopo la logopedista Francesca Benassi, che fonderà con la Cadei, a metà degli anni ’90, il Centro Studi sulla Comunicazione Facilitata, tutto dedicato alla ricerca e alla formazione di ‘facilitatori’ professionisti per cui viene messo a punto un iter formativo strutturato che prevede un costante monitoraggio del lavoro svolto. L’approccio seguito dalla Benassi è di tipo riabilitativo, l’obiettivo primario è infatti l’autonomia comunicativa del facilitato attraverso la messa a punto di protocolli terapeutici sempre più accurati e capaci di promuovere una progressiva indipendenza della persona. Il rigore sembra negli ultimi anni divenuto la parola d’ordine in questo ambito. Nel timore che un uso improprio ed una diffusione indiscriminata di questa strategia potessero nuocere alla ricerca, nel gennaio del 2001 la C.F. è divenuta in Italia un marchio registrato presso l’Ufficio Brevetti. Le linee guida proposte dal Centro Studi sulla Comunicazione Facilitata specificano in modo dettagliato ruolo e competenze delle figure del facilitatore e del supervisore e gettano le basi di una documentazione puntuale del lavoro svolto dai pazienti.

 

Riferimenti utili

www.geocities.com/Hot Springs/Spa/2576 (Centro Studi sulla Comunicazione Facilitata - Indirizzi delle sedi, linee guida della C .F., elenco dei supervisori italiani)

http://www.gli-argonauti.org/ (Articoli e tesi di laurea sulla C.F.. Ricchissimo archivio sull’autismo.)

 

Dott.ssa Francesca Caprino
 

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