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L’ASCOLTO DEL PAZIENTE COME POSSIBILE VIA PER UNA RIABILITAZIONE EFFICIENTE: UN CASO CLINICO
del: 24/02/2012
Questo lavoro rappresenta la traduzione dell’originale pubblicato su “Journal of Medical Case Reports” (Grandi et al. Journal of Medical Case Reports 2012, 6:19), protetto da licenza di tipo Creative Commons Attribution License. Il testo originale è liberamente scaricabile all’indirizzo internet:
Gli adolescenti con Paralisi Cerebrale Infantile spesso non necessitano di un trattamento riabilitativo specifico; tuttavia, quando emergono bisogni specifici, i riabilitatori hanno il dovere di ascoltare e di provare a trovar loro risposta.
PRESENTAZIONE DEL CASO
Presentiamo il caso di un ragazzo di 17 anni, italiano, emiplegico, che era stato seguito con un trattamento fisioterapico standard e di cui, dopo un percorso di Attività Fisica Adattata all’interno di un gruppo, si era ipotizzata la dimissione.
A causa di un insoddisfacente controllo dell’arto superiore emiplegico, tuttavia, il ragazzo ha chiesto aiuto per raggiungere un obiettivo personale: la capacità di guidare il motorino, senza dover ricorrere ad interventi chirurgici. Il bendaggio funzionale si è rivelato efficace, ma non è risultato efficiente né adeguato come praticità per il paziente e per la sua famiglia. Al contrario, una ortesi dinamica associata all’addestramento per l’uso nell’ambiente e nelle attività della vita quotidiana si è rivelata soddisfacente sotto tutti i punti di vista.
CONCLUSIONI
Questo caso sottolinea l’importanza di considerare soluzioni che coinvolgano motivazione e collaborazione del paziente, per migliorare le sue attività e partecipazione.
INTRODUZIONE
Adolescenti con forme lievidi paralisi cerebrale spesso non hanno bisogno di specifici trattamenti riabilitativi (1), ma possono presentare bisogni specifici che devono essere considerati per migliorare il loro benessere. Da un punto di vista bio-psico-sociale, come suggerito dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (2), i loro bisogni devono essere compresi non solo in termini di menomazione (problemi a livello delle strutture e/o delle funzioni corporee), ma anche considerando le limitazioni dell’attività (difficoltà nell’eseguire azioni e compiti) e le restrizioni della partecipazione (limitazioni che la persona può sperimentare nell’interazione sociale) in una interazione dinamica coi fattori ambientali. La recente versione dell’International Classification of Functioning, Disability and Health (ICF) per bambini e giovani (3) aggiunge che non si deve trascurare la prospettiva temporale, con i relativi cambiamenti in termini di funzioni e strutture del corpo, ma anche di interessi, desideri ed attività e partecipazioni ritenute importanti.
Il caso descritto evidenzia l’importanza di prestare attenzione agli specifici bisogni espressi dal paziente, ma anche all’utilità e all’efficienza di utilizzare delle ortesi in questo contesto.
PRESENTAZIONE DEL CASO
Il nostro paziente, italiano, giunse alla prima osservazione presso il l’IRCCS “Santa Maria Nascente” della Fondazione Don Gnocchi quando aveva 15 anni. Era un gemello monocoriale, nato pretermine per taglio cesareo eseguito in condizioni di urgenza a causa del distacco della placenta nel corso della 33° settimana. Presentava una emiplegia destra; la risonanza magnetica nucleare cerebrale mostrava una ampia area di porosità cerebrale nel territorio dell’arteria cerebrale media di sinistra, con segni indiretti di una precedente trombosi sempre nella stessa area. Era stato trattato in un altro centro di riabilitazione fino a 12 anni, con una fisioterapia focalizzata sugli arti inferiori e sulla deambulazione. Presso il nostro Centro ha partecipato ad un gruppo di Attività Fisica Adattata, perché la fisioterapia venne ritenuta non più indicata; all’età di 17 anni era stata ipotizzata la sua dimissione.
Il ragazzo era in grado di camminare in modo indipendente, con un elevato reclutamento dei flessori plantari di destra; bacino e spalla sinistri erano più alti per un compenso funzionale. Il braccio destro era flesso al gomito, con una flessione e deviazione ulnare al polso che aumentava ulteriormente in fase di azione.
L’attività bimanuale era possibile, ma condizionata da uno schema di sincinesia del braccio destro rispetto a quello sinistro. Il suo funzionamento cognitivo era normale.
Prima della dimissione, il ragazzo ci chiese aiuto per migliorare il controllo della flessione del gomito destro, molto disturbante durante i movimenti rapidi. Considerava questo miglioramento funzionalmente importante perché desiderava guidare il motorino ma era incapace di controllare la flessione in caso di decelerazioni brusche o su strade accidentate.
Il suo livello di autonomia, valutato mediante il Pediatric Evaluation of Disability Inventory, ed i risultati nella Gross Motor Function Measure e nella Melbourne Upper Limb Function sono mostrati nella Tabella 1.
Guardando i video di questi test, fu chiaro che i suoi problemi principali erano il controllo della flessione del gomito e della supinazione dell’avambraccio.
Sia il paziente sia la famiglia rifiutavano qualsiasi intervento chirurgico o farmacologico; di conseguenza non vennero prese in considerazione né la chirurgia ortopedica né la tossina botulinica. Come primo tentativo, proponemmo il bendaggio funzionale con l’intento di controllare la flessione del gomito ed aumentare l’estensione del pollice e la supinazione dell’avambraccio. Con il bendaggio le sue performance migliorarono (Tabella 1). Come rivelato dal video, il miglioramento fu principalmente correlato al miglior controllo del gomito, anche in situazioni di movimenti veloci. Il paziente dichiarò che non si sentiva più disturbato dalla flessione sinergica del braccio destro durante il cammino, che i compiti bimanuali risultavano più facili e “più naturali” da eseguire e che poteva fare un miglior uso delle afferenze propriocettive.
Non era tuttavia ancora soddisfatto della soluzione perché ogni tre giorni doveva essere portato dai suoi genitori presso il nostro Centro per cambiare il bendaggio e quindi il suo desiderio di essere più indipendente restava irrealizzato. Per questo motivo proponemmo l’uso del Flexa, una ortesidinamica in Lycra a forma di guanto lungo (dal gomito alle articolazioni metacarpali) con rinforzi che permettono di mantenere l’estensione del gomito e la supinazione dell’avambraccio (Figura 1).
Con questo trattamento, nonostante le sue performance fossero praticamente invariate (Tabella 1), il ragazzo fu in grado di guidare il motorino dapprima nel cortile, poi seguendo l’auto dei genitori e, dopo due mesi, completamente da solo.
DISCUSSIONE
Molti aspetti e considerazioni interessanti emergono da questo caso.
La prima riflessione è che il noto adagio “doctor knows best (il medico ne sa di più)” deve essere ripensato in quanto il paziente, con i suoi specifici bisogni e desideri, deve essere incluso in qualsiasi decisione riguardante la sua salute. Un’ulteriore limitazione, in Italia, è la necessità del consenso dei genitori rispetto a qualsiasi trattamento medico. Benché in teoria sia possibile contestare la decisione dei genitori in sede giudiziaria, il ricorso a questa strada è limitato ai casi più gravi con rischio rispetto alla vita stessa del paziente.
Dare priorità ai pazienti nelle decisioni terapeutiche ha molte conseguenze positive. Innanzi tutto, può condurre alla scelta di una strategia terapeutica potenzialmente non ottimale (nel nostro caso l’utilizzo di un’ortesi senza ricorso alla chirurgia o alla tossina botulinica) nell’interesse del paziente, del suo benessere, senso di indipendenza ed accettazione del trattamento.
In secondo luogo, gli obiettivi del progetto riabilitativo devono essere decisi in accordo col paziente e la sua famiglia, prevenendo eventuali rifiuti del trattamento (4).
Inoltre, avendo a che fare con pazienti in età evolutiva, il trattamento può essere adattato al mutare dei loro interessi e desideri: un bambino potrebbe essere interessato a giocare, un adolescente a guidare il motorino perché gli consente di condividere esperienze con i pari e rappresenta un passo verso l’indipendenza.
Un secondo punto di interesse è il ruolo delle ortesi nella riabilitazione degli adolescenti. Il Flexa, l’ortesi dinamica che abbiamo scelto, ha un costo non trascurabile ma, sulla base della segnalazione di un rilevante beneficio ottenuto anche con la variante statica di simili ortesi (5), abbiamo ipotizzato potesse rivelarsi utile anche per il nostro paziente (6).
Questo tipo di ortesi è spesso usata nella pratica riabilitativa come coadiuvante per migliorare l’efficacia dell’inoculazione di tossina botulinica e/o di interventi di chirurgia ortopedica; al meglio delle nostre conoscenze, tuttavia, non esistono studi pubblicati che ne abbiano valutato la reale efficacia. Riteniamo che la presentazione di questo caso specifico mostri che questa ortesi è efficace, anche se abbiamo dovuto usarla in modo isolato in mancanza del consenso rispetto ad altre procedure più invasive.
Inoltre, confrontata su un tempo di un anno con il bendaggio funzionale in termini di puri costi, l’ortesi risulta essere economicamente vantaggiosa (Tabella 2). Va notato come nell’analisi dei “costi totali” che abbiamo calcolato non abbiamo inserito quelli per noi non quantificabili, quali ad esempio il tempo speso dai genitori per portare il ragazzo al nostro Centro (considerando un consumo di circa un’ora e mezzo per ciascun bendaggio, si tratta di 150 ore all’anno), la maggiore sensazione di dipendenza sia dai genitori che dal terapista (fattore sempre molto pericoloso in adolescenza) ed la peggior qualità della vita sia del paziente sia della sua famiglia. Questi fattori, comunque, aumentano considerevolmente il costo reale del trattamento mediante bendaggio funzionale.
La terza considerazione riguarda l’importanza di usare prove standardizzate (test), comparando i risultati prima e dopo il trattamento, come mezzi per guidare il percorso riabilitativo. Il nostro paziente ha avuto un cambiamento molto lieve nella Gross Motor Function Measure, ma il miglioramento nella Melbourne Upper Limb Function è stato significativo non solo in termini di punteggi “grezzi”, ma anche e soprattutto come reale aumento del suo funzionamento (2; 3). Utilizzati in questo modo, i test offrono una base quantitativa per la valutazione del trattamento senza fuorviare il giudizio clinico (7).
CONCLUSIONI
Riteniamo che il quadro di riferimento bio-psico-sociale delineato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità nella classificazione ICF (2; 3) possa essere utile per meglio comprendere e pianificare le migliori soluzioni possibili in relazione ai bisogni riabilitativi.
Queste dovrebbero includere l’uso di ortesi, che possono rivelarsi tanto efficienti quanto qualsiasi altra tecnologia assistiva, anche all’interno di contesti a risorse limitate (8).
Tabella 1
Risultati dei test |
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Valutazione iniziale |
Con bendaggio funzionale |
Con tutore Flexa |
Gross Motor Function Measure |
94 |
96 |
96 |
Melbourne Upper Limb Function |
81.15 |
90.16 |
90 |
Pediatric Evaluation of Disability Inventory |
100 |
100 |
100 |
Tabella 2 – Comparazione di costi tra Bendaggio Funzionale e Flexa
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Bendaggio Funzionale |
Tutore dinamico Flexa |
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70 |
535 |
|
1250 |
50 |
Totale (€) |
1320 |
585 |
1 ) Il costo del bendaggio funzionale è stata calcolato considerando una media di 0.70 € per benda; il costo del Flexa è stato ricavato dal catalogo del fabbricante (Progettiamo Autonomia).
2) Il costo è stato calcolato assumendo un costo complessivo di 50€/ora per 0.5 ore di lavoro per ogni bendaggio. Questa ortesi dovrebbe durare per un anno; nello stesso arco di tempo il paziente dovrebbe aver bisogno di circa 100 bendaggi funzionali.
CONTRIBUTO DEGLI AUTORI
La valutazione clinica fisiatrica del paziente è stata svolta dalla dottoressa Attilia Grandi; la fisioterapista dottoressa Marcella Mazzola ha eseguito il bendaggio funzionale e tutte le valutazioni testalidel paziente. Tutti gli autori hanno contribuito alla redazione del manoscritto, con lettura ed approvazione della versione finale.
CONFLITTO DI INTERESSE
Gli autori hanno ricevuto un contributo non condizionato da parte di “Progettiamo Autonomia” (Barbieri S.R.L.) per la pubblicazione di questo lavoro.
BIBLIOGRAFIA
1. Ferrari A, Cioni G, Società Italiana di Medicina Fisica e Riabilitativa – Società Italiana di Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza (SIMFER-SINPIA) Intersociety Commission: Guidelines for rehabilitation of children with cerebral palsy. Eura Medicophys 2005, 41(3):243-260.
2. World Health Organization: International Classification of Functioning, Disability and Health. Geneva 2001.
3. World Health Organization: International Classification of Functioning, Disability and Health - Version for Children and Youth. Geneva 2007.
4. Chiappedi M, Maltagliati S, Amoruso A, Dolci R, Carniglia C, Bejor M: Child rehabilitation refusal: why it happens and possible strategies to avoid it. Eur J Phys Rehabil Med 2009, 45(4):487-492.
5. Louwers A, Meester-Delver A, Folmer K, Nollet F, Beelen A: Immediate effect of a wrist and thumb brace on bimanual activities in children with hemiplegic cerebral palsy. Dev Med Child Neurol 2011, 53(4):321-326.
6. Katalinic OM, Harvey LA, Herbert RD, Moseley AM, Lannin NA, Schurr K: Stretch for the treatment and prevention of contractures. Cochrane Database Syst Rev 2010, 9:CD007455.
7. Chiappedi M, Baschenis IMC, Dolci R, Bejor M: Importance of a critical reading of neuropsychological testing. Minerva Pediatr 2011, 63(3):239-245.
8. Bamer AM, Connell FA, Dudgeon BJ, Johnson KL: Frequency of purchase and associated costs of assistive technology for Washington State Medicaid program enrolees with spina bifida by age. Disabil Health J 2010, 3(3):155-161.
FINE
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Si ringraziano per la preziosa collaborazione:
Dott.ssa Barbara Bagnoli, Cristian Iori, Pietro Usai, Ing. Angelo Cecere
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