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Disturbi Visivi di Origine Centrale (DVOC): inquadramento della patologia in età evolutiva

Disturbi Visivi di Origine Centrale (DVOC): inquadramento della patologia in età evolutiva

del: 21/12/2020

Dott.ssa Elisa Medici - Terapista Occupazionale

Per indicare e definire i deficit visivi centrali (CVI) si utilizzano una gran varietà di nomi e definizioni, in quanto ad oggi non si hanno tutte le informazioni necessarie per poterlo comprendere pienamente e definire correttamente, essendo interessato direttamente il cervello e dovendo ancora scoprire molto di quest'ultimo.

Negli ultimi anni si sta sostituendo in età evolutiva sempre di più al termine comune di CVI (o "cecità corticale") quello di Deficit Visivo di Origine Centrale (DVOC), in quanto la cecità corticale prevede una completa cecità, fortunatamente poco frequente nei bambini e ragazzi dove è solitamente presente un residuo visivo.

Con il termine Deficit Visivo di Origine Centrale (DVOC) si intende un disturbo della funzione visiva dovuto al malfunzionamento o al danno delle aree del sistema cerebrale deputate a questa funzione. Pertanto, il funzionamento meccanico oculare non risulta danneggiato da parte di questa patologia, nonostante possano esserci disturbi associati.
Possiamo suddividere i bambini affetti da DVOC in tre categorie:
• bambini con compromissione visiva profonda, spesso accompagnati da altre patologie
• bambini con visione funzionale utile ma affiancata a problematiche cognitive
• bambini con visione funzionale e con un livello cognitivo prossimo a quello dei loro coetanei

A livello epidemiologico, il DVOC è considerata la principale causa di disabilità visiva infantile nei paesi industrializzati. Circa il 30-40% dei bambini con menomazioni visive presenta questo tipo di disturbo.
La causa è spesso di natura multifattoriale, anche se quella più frequente è stata individuata in un danno di tipo ipossico-ischemico. Proprio per questo motivo nei soggetti affetti da Paralisi Cerebrale Infantile (PCI) l'incidenze è di circa il 60-70%.

Premettendo che per una stessa diagnosi la manifestazione clinica può essere molto varia, i sintomi del DVOC possono interessare tutte le componenti della funzione visiva (via visiva primaria, componente organica, rielaborazione dell'informazione nei centri cerebrali superiori).
Tra i principali sintomi troviamo deficit del campo visivo, alterazione della acuità visiva e della sensibilità al contrasto, movimenti oculari anomali e deficit di fissazione/inseguimento, disturbi del riconoscimento visivo e deficit della percezione del movimento.
Un bambino con DVOC può apparire all'occhio di genitori, educatori, insegnanti e terapisti un bambino pigro o disinteressato all'apprendimento, anche a causa di una difficoltà importante nel diagnosticare questa patologia.

Una valutazione completa è il primo passo per la stesura di un piano di trattamento efficace. Proprio per questo è indispensabile che vi sia una dettagliata valutazione multidisciplinare, che comprenda quindi medici e terapisti con competenze specifiche.
Essendo una patologia dovuta ad un danno cerebrale il trattamento non mira ad una completa guarigione, ma piuttosto ha come scopo la gestione della patologia per poter migliorare il benessere e la qualità della vita del bambino e dei familiari.
E' quindi fondamentale identificare i bisogni e problemi specifici per ogni bambino (tenendo in considerazione anche le necessità dei familiari) per poi poter sviluppare soluzioni individuali e pratiche alle difficoltà che gli si presentano quotidianamente.

Tra le diverse soluzioni possiamo trovare:
• la creazione di progetti riabilitativi volti a sfruttare la plasticità neuronale
• l'adattamento dei diversi ambienti (fisico e sociale) per rendere le informazioni più accessibili e percepibili dal bambino
• la scoperta guidata a strategie alternative per limitare le difficoltà individuate
• la fornitura di strumenti compensativi, in cui ritroviamo software o materiali tattili

E' facile che tra i bisogni emerga la difficoltà di interagire con l'ambiente che ci circonda, pertanto è indispensabile fornire al bambino strumenti per potersi interfacciare con il mondo esterno.
Tra questi strumenti si inserisce il percorso di Comunicazione Alternativa Aumentativa (CAA), che permette al bambino di comunicare non limitandosi all'uso di una modalità linguistica. Ogni modalità deve essere pensata e studiata in base al quadro del singolo soggetto, sfruttando le sue capacità residue.

Ad oggi si hanno a disposizione programmi specifici ideati per avviare alla comunicazione aumentativa anche pazienti con importanti deficit motori o visivi.
Tra questi programmi troviamo Steps before Step Scanning, programma costruito sul metodo di Linda J. Burkhart, fondato su solide basi scientifiche.

Alla base di questo programma vi è il concetto per cui al bambino bisogna dare il proprio tempo per elaborare le informazioni che gli vengono date, per poter permettere al cervello di formare nuove connessioni neuronali.
Pertanto gli si deve dare il tempo e la possibilità di fare esperienza diretta e avere una partecipazione attiva, permettendogli di sbagliare e compiere errori. In questo modo viene alimentato il suo processo di apprendimento.
Il programma si compone di otto fasi, che si possono caricare su software specifici quale Mind Express.

Oltre alla scelta del software è fondamentale la costruzione del set: deve permettere al bambino di poter avere una buona visione dello schermo e dargli la possibilità di muoversi, garantendo sempre una corretta postura.
Se il bambino non è in carrozzina, è possibile sfruttare sedute regolabili in altezza e nell'inclinazione, meglio se con i braccioli per dare stabilità ed evitare di dare al bambino un senso di "vuoto".
Inoltre è possibile procurarsi supporti per mantenere la giusta inclinazione del tablet scelto.

Altro punto non meno importante è la personalizzazione del set e dei materiali: ogni fase del programma Steps before Step Scanning può sfruttare diversi canali comunicativi rispetto al tipo di bambini per la quale è pensato, potendo anche personalizzarne i contenuti per renderlo ulteriormente più interessate e stimolante.
Inoltre un oggetto più vicino ai gusti del bambino lo rende uno strumento più interessante da usare, limitando nel lungo periodo l'abbandono dell'ausilio. Per esempio, se si utilizzano sensori a pressione è bene scegliere dei colori che possano piacere ed essere riconosciuti dal bambino; pensare anche di prendere la custodia protettiva di un colore che possa attrarre il bambino (non nero o bianco, è meglio preferire colori accesi ma non invadenti come verde o azzurro) è una buona idea per favorire ulteriormente l'inserimento del nuovo strumento nella sua routine quotidiana. In questo ambito non è da trascurare l'importanza di potersi avvalere della scansione acustica che vicaria l'inseguimento visivo dell'indicatore luminoso quando il bambino non è in grado di inseguirne lo spostamento con lo sguardo.

Oltre a software e materiali specifici di CAA è bene anche prestare attenzione e avere delle accortezze generali per facilitare la comunicazione e l'interazione con noi e l'ambiente:
• per aiutare il bambino nella concentrazione visiva quando è possibile eliminare dall'ambiente eventuali disturbatori: spegnere fonti di luci non necessarie, mettere il proprio cellulare in silenzioso, spegnere fonti di rumore inutili...
• la riduzione della complessità ambientale è fondamentale in questa patologia: avvicinare oggetti ed immagini di cui si parla al bambino, posizionargli gli oggetti singolarmente davanti e non in gruppo, evidenziarli posizionandoli su sfondo nero o neutro...
• il bambino non ha una chiara percezione dell'ambiente, pertanto quando si parla è bene posizionarsi vicino a lui, senza ostacolarlo, e (se presenti) nelle aree meno deficitarie del suo campo visivo
• come tutti i bambini, un rinforzo aggiuntivo per la comprensione dei concetti lo si ha quando la comunicazione avviene in modo chiaro (scandire bene le parole, dividere una frase lunga e complessa in più frasi brevi e semplici,..) e a voce alta

In conclusione, il raggiungimento di un'autonomia comunicativa permette al bambino di poter fare scelte consapevoli e non limitare le proprie decisioni alle preferenze di familiari, amici, insegnanti o professionisti sanitari. Pertanto, il percorso per il raggiungimento di questa autonomia deve essere valutato e personalizzato sulla base delle effettive necessità del bambino, sfruttando le sue capacità ed affiancandovi strumenti specifici.

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http://www.lburkhart.com/handcvi.htm

Elisa Medici - Terapista Occupazionale

e.medici@leonardoausili.com

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